Articolo redatto dall’Avv. Marra.
DIRITTO CIVILE – LA REVISIONE DEL PREZZO NELL’APPALTO PRIVATO (Cass. civ. Sez. I Ord., 06/03/2018, n. 5267).
La premessa: Può accadere che nel corso dei lavori di un appalto privato si verifichino aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera. In tal caso il codice civile ammette che il prezzo originariamente fissato dai contraenti possa non essere più adeguato alla realizzazione dei lavori. In tal caso appaltante e appaltatore, anche disgiuntamente, possono chiederne la revisione ai sensi dell’art. 1664 c.c..
La massima: “La disposizione di cui all’art. 1664 c.c. (relativa alla revisione del prezzo del contratto di appalto), non ha carattere vincolante per le parti, le quali, pertanto, possono legittimamente derogarvi, con la conseguenza che, in caso di contrasto tra esse circa la reale portata delle clausole contrattuali sul punto della applicabilità o meno della norma “de qua”, è demandato al giudice di merito, al fine di accertare la reale volontà dei contraenti (se abbiano, cioè, voluto o meno escludere la revisione del prezzo del contratto di appalto), il compito di ricostruirne il comune intento negoziale avvalendosi dei comuni criteri di ermeneutica contrattuale, a partire da quello collegato all’elemento letterale delle clausole negoziali, considerando, all’uopo, che l’intento di derogare alla norma contenuta nell’ art. 1664 c.c. non richiede l’uso di particolari espressioni formali, potendo per converso risultare, oltre che da una clausola espressa, anche dall’intero assetto negoziale nel suo complesso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse accertato la deroga convenzionale in esame, con riferimento ad un contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di una strada, per aver l’appaltatore assunto il c.d. “rischio geologico”, inerente la possibilità che fosse necessario estrarre un quantitativo di roccia da mina eccedente quello previsto nel progetto, e ciò in ragione della previsione contrattuale per la quale i prezzi sarebbero rimasti “fissi ed invariabili per qualsiasi eventualità”).
Il principio : Le disposizioni contenute all’art. 1664 c.c., ovvero il “potere” delle parti di derogare o meno alla revisione del prezzo, è rimesso liberamente all’autonomia delle parti. Tuttavia la libertà di contrarre e impedire all’appaltatore di poter chiedere la revisione deve sottostare sia alla effettiva volontà che si desume dal contratto in forma espressa, ma anche alla normale alea contrattuale. Le cause diverse da quanto prevede l’art. 1664 c.c. quali, ad esempio, i costi dei dipendenti o dipendenti da eventi imprevedibili, esulano l’alea ordinaria del contratto. In tal caso rivivrebbe la norma generale dell’art. 1467 c.c. (“Contratto con prestazioni corrispettive”) che ammette il diritto dell’appaltatore a domandare la risoluzione dell’accordo se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimento straordinari e imprevedibili.
DIRITTO CIVILE – LE DISTANZE LEGALI IN CASO DI RICOSTRUZIONE DELL’EDIFICIO (Cass. civ. Sez. II Sent., 11/05/2023, n. 12751).
La premessa : Può accadere che nell’esecuzione dei lavori di “ricostruzione di edificio” si verifichino delle modifiche agli elementi strutturali delle costruzioni originarie, per variazione di altezza, sagoma, sedime e volume. In tal caso la normativa nazionale non permette variazione nelle distanze legali preesistenti, salvo alcune limitate deroghe introdotte dalla normativa inerente al programma di rigenerazione urbana con la L. 120/2020 (art. 3, comma 1, lett. d) testo unico edilizia, come modificato dalla L.120/2020). Le disposizioni di cui all’art. 837 c.c. e all’art. 9 d.m. 1444/1968, in tema di distanze legali, non possono essere derogate in pejus senza l’esistenza di un intervento di pianificazione urbanistica/rigenerazione urbana.
La massima : In tema di distanze legali, diversamente dal muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, che, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c., devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perché costruzioni, il terrapieno e il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente. Non è legittima, dunque, la sentenza che stabilisca che un terrapieno non è soggetto al rispetto delle distanze perché costituente un’opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali, senza verificare se è opera dell’uomo e se adempie alla specifica funzione di sostegno e contenimento.(Nella specie, la S.C. dopo aver ribadito l’applicabilità in materia di distanze delle costruzioni dello jus superveniens favorevole al costruttore, ovverosia il diritto di questo a mantenere l’opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa fosse già ultimata, si è soffermata sul concetto di “ricostruzione di edificio”, ripercorrendo l’evoluzione storica di questa nozione fino alla L.120/2020. Alla luce delle modifiche introdotte da quest’ultima legge al TUE, ha concluso per l’inapplicabilità nel caso di specie dello jus superveniens, in quanto l’intervento ricostruttivo in esame non rientrava nel regime derogatorio previsto dal novellato art. 3, lett. d), TUE, essendo assente un intervento di rigenerazione urbana. Pertanto, la “ricostruzione di edificio” non poteva compiersi in violazione dell’art. 837 c.c. e dell’art. 9, d.m. 1444/1968. La S.C., sulla base del concetto unitario di “costruzione” sancito dalla giurisprudenza di legittimità, ovverosia “manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo”, ha concluso considerando come costruzione il terrapieno artificiale avente lo scopo di creare un dislivello artificiale o di accentuare il dislivello naturale esistente.Dunque, ha ritenuto che il giudice di merito avesse errato nell’affermare che il terrapieno non era soggetto al rispetto delle distanze, cassando con rinvio la sentenza d’appello).
Il principio : Il concetto di “costruzione” e di “ricostruzione di edificio” applicabile al tema delle distanze legali (ex artt. 837 cc e art. 9 d.m. 1444/1968) beneficia dello jus superveniens qualora favorevole al costruttore. Tuttavia, tale prevalenza del diritto sopravvenuto pro-costruttore non è indiscriminata, e può derogarsi ai limiti fissati in materia di struttura e distanze legali solo qualora ci fosse un intervento di pianificazione urbanistica avente come scopo la rigenerazione urbana.
A riprova di ciò, la stessa relazione ministeriale al decreto semplificazioni (D.L. 76/2020, poi L. 120/2020), laddove si afferma che l’art 2, comma 1-ter, ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana.
DIRITTO AMMINISTRATIVO – IL DIRITTO ALAL REVISIONE DEI PREZZI NELL’APPALTO E LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA O CIVILE (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 30/01/2023, n. 684).
La premessa : La clausola di revisione del prezzo nell’appalto pubblico e la relativa domanda di revisione da parte dell’operatore economico prevede l’esercizio di un potere che impone la competenza esclusiva del Giudice Amministrativo.
La massima : In materia di appalti pubblici, con la clausola di revisione dei prezzi viene introdotto un meccanismo di gestione delle sopravvenienze idonee ad incidere in modo significativo sull’originario equilibrio contrattuale. Essa ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte. Al contempo, si vuole salvaguardare l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto, che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni.
Il principio: L’eccessiva onerosità sopravvenuta in un appalto pubblico la cui lex specialis contempla una clausola di revisione dei prezzi rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo. Viceversa, nel caso in cui sia in contestazione esclusivamente l’espletamento di una prestazione già puntualmente prevista nel contratto e disciplinata in ordine all’an ed al quantum del corrispettivo, giacchè in tale evenienza la controversia incardinata dall’appaltatore ai fini della percezione del compenso revisionale ha ad oggetto una mera pretesa di adempimento contrattuale, ciò comporta l’accertamento dell’esistenza di un diritto soggettivo e v’è la giurisdizione del Giudice Ordinario.
DIRITTO UE / CEDU – LESIONE DEL DIRITTO FONDAMENTALE DI PROPRIETA’ IN CASO DI RITARDATO RIMBORSO DI CREDITI FISCALI, PER LEGISLAZIONE RETROATTIVA E SUCCESSIVA (CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO 3 luglio 2003, Buffalo s.r.l. contro Italia).
La premessa: L’aspettativa economica incisa da un provvedimento del Legislatore che proroga il termine per il rimborso dei crediti fiscali maturati a seguito di indebito versamento e che opera retroagendo sino al momento della maturazione del diritto (al rimborso) è lesivo del diritto fondamentale del contribuente / imprenditore (Nel 1994, la società ricorrente domandò per l’anno 1992 il rimborso di un credito d’imposta di 89.747.000 ITL. L’articolo 36 bis del DPR no 600/1973, in vigore durante il periodo in oggetto, prevedeva che l’amministrazione fiscale era tenuta a rimborsare i crediti d’imposta risultanti dalla differenza tra la somma dovuta e quella prelevata in eccesso prima del 31 dicembre dell’anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi. Questo articolo è stato sostituito dal decreto legislativo (D.LGS) del 9 luglio 1997 no 241, applicabile alle dichiarazioni presentate dopo il 1° gennaio 1999. Questo decreto prevede che l’amministrazione fiscale è tenuta a rimborsare il credito d’imposta «entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo». La ricorrente si è rivolta alle banche per ottenere dei finanziamenti fino alla concorrenza di 550 milioni ITL. Poi ha ottenuto dei finanziamenti da parte di privati ed ha infine ceduto una parte dei crediti in contestazione, fino alla concorrenza di 400 milioni ITL, ad una società di factoring. Queste operazioni hanno comportato delle spese ingenti. Inoltre, la ricorrente ha pagato degli interessi debitori sui finanziamenti ottenuti che sono stati in media superiori al tasso d’interesse pagato dallo Stato sull’ ammontare dei crediti d’imposta rimborsati. I ritardi nel rimborso dei crediti hanno ritardato le operazioni di liquidazione della ricorrente per la ragione che quest’ultima è responsabile verso la società di factoring del rimborso dei finanziamenti ottenuti).
La massima: Il ritardo ultra quinquennale nel rimborso dei crediti d’imposta (pacificamente dovuto al contribuente), specie se di rilevante importo, pone il contribuente in una situazione di totale incertezza che aggrava la sua perdita finanziaria e ciò infrange il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui, segnatamente il diritto al rispetto dei beni garantito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il principio l’impatto finanziario causato dall’attesa dei rimborsi, raddoppiato per l’inesistenza di ogni ricorso efficace suscettibile di porre rimedio alla durata di questa attesa, e per l’incertezza quanto al momento della liquidazione dei crediti, ha rotto il giusto equilibrio che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui, segnatamente il diritto al rispetto dei beni di proprietà tutelati dall’art. 1 protocollo 1 della Convenzione EDU.
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