Comitato scientifico della presente newsletter: Avv. Daniele Marra
DIRITTO TRIBUTARIO – IL CONTRIBUTO UNIFICATO PER AVVIARE UNA LITE DI FRONTE AL GIUDICE TRIBUTARIO AVVERSO IL DINIEGO AD UNA ISTANZA DI RIMBORSO SI CALCOLA SULLA SINGOLA ISTANZA E NON SUL SINGOLO RICORSO(Corte di giustizia tributaria di primo grado di Pescara – Sentenza del 16/06/2023 n.190).
La premessa : Può accadere che nel corso del giudizio la segreteria del giudice tributario adito vada a verificare la regolarità del Contributo Unificato versato dal ricorrente per avviare il giudizio. Tale potere dovere è scolpito negli artt. 16 e 248 del DPR 115/2002. Ove sia rilevato che il Contributo Unificato è inferiore a quanto di Legge si avvia un procedimento amministrativo che si conclude con un invito a regolarizzare il versamento del tributo, con sanzioni ed con iscrizione al ruolo dell’imposta da recuperare. Tale provvedimento è a sua volta impugnabile di fronte al Giudice Tributario. Ma il Contributo Unificato Tributario (CUT) è calcolato sul valore del ricorso oppure sul valore dei singoli atti ivi indicati (come spesso capita impugnando una cartella che contiene più e più debiti), sovente impugnati congiuntamente e di valore differente l’uno dall’altro? Nella controversia presa in esame dalla Corte di Pescara il ricorso era difatti avanzato avverso il silenzio diniego dall’amministrazione finanziaria che aveva de facto negato il rimborso, successivamente ad aver ricevuto 22 istanze di rimborso da parte del contribuente.
La massima : “In via interpretativa tale concetto è stato esplicitato con la Direttiva n 2/2012 emanata dal D.F. ed è stato chiarito come, in caso di un unico ricorso avverso più atti, “il calcolo del contributo unificato debba essere effettuato con riferimento al valore dei singoli atti e non sulla somma di detti valori”. Con specifico riguardo la fattispecie verte, oltre che su un diniego espresso, anche su 22 istanze di rimborso pagate all’estero dalla B. […] Circa le modalità di calcolo del CUT applicato si ribadisce quanto affermato dalla circ. 9/E/2012 della A.E. che ha chiarito che nella determinazione della lite nella mediazione avente ad oggetto il rimborso di tributi, si debba far riferimento al singolo rapporto tributario.”
Il principio : Come già affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza del 2016, non v’è una disparità di trattamento che impatta sul principio dell’uguaglianza previsto all’art. 3 della Carta se l’art. 14, c. 3 bis del D.Leg. 546/92 prevede un diverso trattamento del il ricorso tributario in CTR rispetto alle azioni promosse nel processo civile e quello amministrativo, dove il Contributo Unificato prescinde dai singoli atti eventualmente impugnati e si calcola sul valore complessivo della lite. Il ricorso c.d. cumulativo tributario, che verte su di un unico silenzio diniego di rimborso, ove fondato su più istanze di rimborso mira a domandare un accertamento che prenda in esame ogni istanza, ovvero ogni singolo rapporto tributario sotteso e dedotto in giudizio. Ne consegue che l’importo da versare a titolo di CUT è computato in riferimento al “petitum” in ragione degli atti oggetto di impugnazione, ivi compresi quelli presupposti e l’importo va computato tenendo conto anche di tutti gli atti prodromici, ovvero avuto riguardo ad ogni singolo atto di richiesta di rimborso.
DIRITTO CIVILE – LA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO RISPETTO ALL’INFORTUNIO DEL DIPENDENTE ED IL RIDOTTO ONERE PROBATORIO IN CAPO AL LAVORATORE RISPETTO ALLA NORMA SPECIFICAMENTE VIOLATA. IL CASO DELL’INFARTO DA SUPERLAVORO (Cass. civ. ord. del 28/02/2023 n. 6008).
La premessa : Può accadere che nell’esecuzione delle mansioni richiedibili al lavoratore dipendente il datore ne domandi il compimento con modalità e ritmi che non inficiano il contenuto del contratto ma le modalità di svolgimento, ponendo a rischio la sua salute. Il caso è quello conosciuto del c.d. super lavoro e della oramai frequente ipotesi di infarto. Può una modalità di svolgimento del lavoro in linea con le mansioni richiedibili, fondare comunque una responsabilità del datore in caso di infortunio sul lavoro? E quale è l’onere probatorio in capo al danneggiato?
La massima : “Il lavoratore a cui sia stato richiesto un lavoro eccedente la tollerabilità, per eccessiva durata o per eccessiva onerosità dei ritmi, se lamenta un inesatto adempimento altrui rispetto all’obbligo di sicurezza è tenuto ad allegare rigorosamente tale inadempimento, evidenziando i relativi fattori di rischio (ad es. modalità qualitative improprie, per ritmi o quantità di produzione insostenibili etc., o secondo misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole), spettando invece al datore dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l’accaduto a sé non imputabile. Peraltro, oltre a
non potersi imporre al lavoratore di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica, ancor meno ciò può essere richiesto quando, adducendo la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inesatto adempimento all’obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni, pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche.”.
Il principio : Sulla base della interpretazione come “norma aperta” dell’art. 2087 c.c. (che testualmente stabilisce: “Tutela delle condizioni di lavoro. L’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro”), o meglio come “norma di chiusura del sistema e presidio del diritto alla salute ex art. 32 della Costituzione: s’impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisio- psichica dei dipendenti con l’adozione – e il mantenimento perfettamente funzionale – di tutte le misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico idonee, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione nell’ambiente o in circostanza di lavoro anche in relazione ad eventi che non sono coperti specificamente dalla normativa antinfortunistica, giustificandosi l’interpretazione estensiva.
Tale interpretazione estensiva depotenzia l’onere della prova in capo al lavoratore che può non solo domandare un risarcimento del danno adempiendo alla dimostrazione del nesso causale tra infortunio ed attività lavorativa (insalubre) senza andare a dimostrare con esattezza scientifica il nesso causale tra lavoro ed evento violento, ma può anche agire non dovendo individuare la norma di riferimento violata dal datore in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
DIRITTO CIVILE – LA RETROVERSIONE DEGLI UTILI IN CASO DI CONCORRENZA SLEALE E, NELLO SPECIFICO, LA QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO PER UTILIZZO DEL MARCHIO ALTRUI (Cass. civ. Ord. del 25/05/2023 n. 14593 e Cass. civ. Sez. I Ord. del 29/07/2021, n. 21833).
La premessa : Può accadere che nell’esercizio della propria attività d’impresa ci si avveda che un competitor utilizzi illegittimamente il proprio marchio e, ferma la paternità dello stesso, in un giudizio volto all’inibire l’uso sleale del proprio segno distintivo, si debba quantificare un danno che non solo sia incontestabile ma che sia anche esattamente corrispondente a quanto patito e “a patire”. E’ possibile domandare un danno per il quantum perduto senza poterlo con esattezza individuare e senza dover domandare al Giudice una quantificazione equitativa?
La massima : “Il comma 1 della disposizione in esame (art. 125 comma 1 del Codice della Proprietà Intellettuale) individua, tuttavia, dei parametri da cui potere desumere indirettamente il danno, sia pure in via di approssimazione (quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione): si fa rinvio, tra i criteri da seguire per determinare l’entità del pregiudizio subito dal titolare della privativa, non soltanto al tradizionale pregiudizio di tipo patrimoniale, ma anche alla categoria del danno morale, quale il danno all’immagine commerciale dell’imprenditore, o la perdita di investimenti pubblicitari, ed al parametro dei benefici ricavati dal contraffattore indipendentemente quindi dalla retroversione degli utili, di cui al comma 3, della disposizione in esame, che può essere chiesta in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura eccedente tale risarcimento), in un’ottica non solo indennitaria ma anche riparatoria, giustificata dall’obiettivo di tutela di una corretta attività di mercato. Si tratta, in buona sostanza, di una regola speciale nell’ambito del rimedio risarcitorio”.
Il principio : Sulla base delle regole di cui all’art. 1223 del Codice civile, che in particolare impone che il danno patito di cui si domanda il risarcimento debba comprendere sia la perdita subita dal debitore come il mancato guadagno, la domanda di retroversione degli utili concerne la domanda di pagamento di un importo corrispondente a quanto l’autore dell’illecito in tema di proprietà intellettuale ha guadagnato.
L’impossibilità, o comunque l’evidente difficoltà, di dimostrare e quantificare l’esatto guadagno perduto e che si avrebbe ottenuto con l’uso esclusivo del proprio marchio, è compensata da una espressa misura di Legge che riprende gli approdi della Giurisprudenza dei tribunali delle imprese italiani.
Una somma, a sua volta, che è da intendersi netta vista l’interpretazione data sin dal 2021 dalla Corte di Cassazione, vista la decisione n.21833 di cui segue la massima: “In tema di diritto d’autore, il criterio della retroversione degli utili, anche ove più favorevole al danneggiato, resta nondimeno ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: ne consegue che la somma, così come accertata quale ricavo per lo sfruttamento dell’opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sopportati dal medesimo, il quale ha l’onere di fornire, ai fini dello scomputo, elementi concreti di calcolo desumibili dai bilanci, dalle scritture contabili o dai contratti conclusi con i terzi, e, dall’altro, dall’autonomo contributo al successo dell’opera, così come realizzata e diffusa sul mercato dall’autore dell’illecito, per quanto tale successo dipenda dal lancio, propiziato dalla notorietà dell’interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l’interesse del pubblico”. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO MILANO, 03/07/2017).
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